L’amore che mi resta – Michela Marzano

L’amore che mi resta inizia con un suicidio. Prosegue con la ferrea rinuncia a vivere da parte di Daria, che fin da bambina ha identificato sé stessa nel desiderio di diventare madre, poi nei tentativi di diventare madre, e infine nell’essere diventata madre. Infine, si incammina nella tortuosa e spinosa burocrazia che permette a una persona adottata di conoscere le proprie origini biologiche. Giada, che da bambina si arrabbiava ‒ fino a diventare aggressiva ‒ se a uno dei puzzle che le piaceva tanto comporre mancava un pezzo. Il pezzo mancante di sé.

Acquistato in un momento di difficile relazione con mio figlio, ho pensato trattasse il tema della perdita di un figlio, ma ho scoperto molto di più in queste pagine. Questo è un romanzo sulla maternità, sull’adozione, un romanzo sull’elaborazione del lutto. Michela Marzano condensa qui anni di studi filosofici e di impegno civile, anni che l’hanno resa una delle figure di riferimento per ripensare il concetto politico di genitorialità. E’ anche un romanzo sulla ricerca della propria identità, su quell’identificazione di sé che passa attraverso o meno la maternità, e la ricerca di quel “pezzo di sé” mancante.

Si può essere madre anche senza aver portato il proprio figlio o figlia nel ventre, ma questo fatto deve tenere conto che c’è un’altra madre, da qualche parte. Una madre che, nel caso di un’adozione, per ragioni che non possiamo comprendere né giudicare, ha lasciato che fosse qualcun altro a dare un nome, una casa e delle risposte. La genitorialità, la maternità, non sempre hanno a che fare con la biologia.

 

L’amore che mi resta, Michela Marzano, Ed. Giulio Einaudi, 2017