Il treno dei bambini

Negli anni tra il 1946 e il 1952 le condizioni di vita di tantissimi bambini, soprattutto al Sud, erano davvero difficili, molto dure. Ci fu allora un’operazione illuminata, attenta, di grande sensibilità da parte del Partito Comunista Italiano insieme all’Unione Donne Italiane. I bambini dai 4 ai 12 anni poveri, senza genitori, o bambini di strada furono portati per un periodo di alcuni mesi nelle regioni del Centro Nord, in particolare Marche ed Emilia Romagna. Affidati ad altre famiglie in modo che potessero superare l’inverno. C’era un alto tasso di mortalità, malattie polmonari, denutrizione, dati impressionanti. Tra questi bambini c’è il piccolo Amerigo, dei Quartieri Spagnoli.

Viola Ardone ha riproposto un tema, quello della solidarietà sociale, che coi vari politici del giorno d’oggi al centro della scena politica italiana, sembra davvero qualcosa di obsoleto e inconcepibile. Un sentimento antico che andrebbe riscoperto, in un momento così buio, in termini sociali, culturali e (appunto) politici.

«Era più facile, un volta. – dice la Ardone – C’era il partito, c’erano le compagne e i compagni del partito. Oggi non ci sta più niente, chi vuole fare qualcosa di buono lo deve fare da solo… Ma non è una cosa politica, non so se mi spiego, è carità. È differente.»

Le prime parti del romanzo, quelle in cui Amerigo è un bambino e racconta in prima persona la sua esperienza, mescolando italiano ed espressioni tipiche napoletane, con lo sguardo innocente e stupito di un bambino, sono sicuramente le più appassionati e riuscite. La parte finale invece, che vede Amerigo ormai adulto e realizzato, sorprende per una sorta di amarezza di fondo, per un “amaro in bocca” e un sottofondo di tristezza, di rimpianto per ciò che poteva essere e non è. Ma è comunque un bel libro, piacevole da leggere e che lascia uno strascico di buoni sentimenti e desiderio di essere oggi forse un popolo migliore.